L’altro giorno, chiacchierando con un cliente, è emerso un tema affascinante: la Felicità.
Una parola che tutti conosciamo ma che sembra portare a una quantità infinita di riflessioni, interpretazioni e significati così personali che difficilmente si può arrivare a una definizione universale.
La felicità è un concetto tanto potente quanto sfuggente, un obiettivo ambito che sembra prendere forme diverse a seconda del contesto e dell’individuo.
Ma visto che il mio lavoro ruota intorno alla crescita personale e professionale, mi sono chiesta:
Cosa rende felici le persone nel loro lavoro?
Quando ho iniziato a porre questa domanda, le risposte mi hanno sorpreso. Spesso si pensa alla felicità come a qualcosa da raggiungere, un obiettivo specifico legato a una promozione, a un traguardo economico o a un riconoscimento professionale. Tuttavia, raramente le risposte indicavano un legame tra la felicità e il modo di essere nel lavoro, ossia vivere il lavoro come parte integrante del proprio benessere quotidiano, piuttosto che come un mezzo per ottenere un fine.
Felicità: Un percorso di trasformazione personale
Mi sono resa conto che, anche per me, la felicità nel lavoro è cambiata nel tempo. Oggi, ciò che mi rende felice è l’idea di poter realizzare qualcosa di valore per gli altri. Ma non è stato sempre così. Questo senso di gratificazione è frutto di un lungo percorso personale, un viaggio attraverso tre fasi che mi ha aiutato a spostare il mio focus dall’ego a qualcosa di più grande.
Il famoso psicologo e autore Adam Grant descrive questo percorso in tre tappe principali:
Fase 1: Non sono importante.
In questa prima fase, molti di noi iniziano la propria carriera pensando di essere piccoli, insignificanti, e che il nostro contributo non abbia un grande impatto. Siamo spesso alla ricerca di approvazione e riconoscimento con un abbondante giudizio critico che non ci aiuta a riconoscere il nostro valore.
Fase 2: Sono importante.
Arriva un momento in cui, grazie alle esperienze acquisite, iniziamo a riconoscere il nostro valore. In questa fase, ci preoccupiamo più di affermarci e dimostrare quanto siamo capaci. Il lavoro diventa un riflesso di ciò che siamo e delle nostre competenze.
Fase 3: Voglio contribuire a qualcosa di importante.
È qui che avviene la trasformazione più significativa. L’attenzione si sposta dall’autoaffermazione alla volontà di fare una differenza nel mondo. Non è più solo una questione di riconoscimento personale, ma di capire come il nostro contributo può influire positivamente sugli altri.
Grant sottolinea che, nella carriera, invece di cercare solo il lavoro che ci rende felici, sarebbe forse più utile cercare un lavoro che ci permetta di imparare, crescere e dare un contributo significativo.
Questa riflessione ci porta alla domanda: e se la felicità non fosse un traguardo, ma un processo?
Felicità e lavoro: Un processo continuo di crescita
Questa consapevolezza ha rivoluzionato il mio approccio al lavoro e alla vita. Spesso pensiamo alla felicità come qualcosa di statico, un obiettivo che una volta raggiunto ci garantirà benessere permanente. Invece, la felicità è un processo dinamico, strettamente legato alla crescita personale e alla capacità di navigare tra le incertezze e i cambiamenti della vita. A conferma di questo posso dire di aver incontrato tante persone che hanno rinunciato a contratti di lavoro da favola per realizzare il sogno della propria vita, con la consapevolezza di dover faticare molto di più e senza la certezza dello stipendio a fine mese.
Ed è proprio qui che entra in gioco un concetto fondamentale: la necessità di liberarsi dall’ego. Liberarsi dall’autocentratura ci permette di vedere il lavoro non come una serie di compiti da completare, ma come una serie di opportunità per contribuire a qualcosa di più grande, che va oltre il nostro benessere individuale.
Per far sì che la scintilla della motivazione rimanga viva, dobbiamo imparare a bilanciare il nostro desiderio di realizzazione personale con il bisogno di contribuire al benessere degli altri. Non è un equilibrio facile da mantenere, richiede un continuo adattamento e una grande capacità di ascoltare se stessi e ciò che ci circonda. Questa visione aperta e flessibile ci consente di affrontare le sfide del lavoro con una nuova prospettiva, trasformando gli ostacoli in opportunità di crescita.
Avere l’abilità di adattarsi e navigare tra i continui cambiamenti è fondamentale per mantenere accesa quella scintilla che ci permette di sentirci vivi e motivati.
Questo processo richiede impegno, disciplina e, soprattutto, una forte volontà di crescere. L’idea che il lavoro perfetto ci renderà felici è, in molti casi, un’illusione. La vera felicità arriva dalla capacità di trovare significato in ciò che facciamo, di vedere il valore nel nostro contributo e di riconoscere che il nostro percorso è in continua evoluzione.
La disciplina della felicità
In questo senso, la felicità diventa una disciplina. Non è una destinazione che si raggiunge e poi si mantiene senza sforzo. È qualcosa che richiede cura quotidiana, attenzione e auto-riflessione costante. Dobbiamo imparare a riconoscere i nostri bisogni e a essere consapevoli dei nostri desideri, ma allo stesso tempo a lasciare andare le aspettative rigide che spesso ci trattengono.
E qui ritorniamo al concetto di automotivazione. Quando siamo in grado di accendere quella scintilla di motivazione dall’interno, diventa più facile affrontare le sfide e navigare attraverso i periodi di incertezza.
La felicità, quindi, non è qualcosa che possiamo semplicemente ottenere da fattori esterni, come una promozione o un aumento di stipendio. È qualcosa che dobbiamo costruire dentro di noi, attraverso un costante dialogo con le nostre emozioni, i nostri obiettivi e i nostri valori.
L’importanza di fermarsi a riflettere
Spesso, nel caos della vita lavorativa, dimentichiamo di fermarci e chiederci: Cosa mi rende felice nel mio lavoro?”
Questo tipo di riflessione può sembrare banale, ma in realtà è fondamentale per mantenere un equilibrio tra le nostre ambizioni e il nostro benessere personale.
Fermarsi a riflettere ci permette di ri-allineare le nostre azioni con i nostri valori e di riconoscere quali sono le aree della nostra vita che, oggi, nel presente, richiedono più attenzione.
Quindi, smettiamo di cercare il lavoro perfetto che ci renderà felici e iniziamo a costruire un rapporto più consapevole e soddisfacente con il nostro lavoro attuale, coltivando la nostra crescita e il nostro contributo in ogni fase del percorso. E poi, chissà, non è detto che con questo atteggiamento non arrivi qualcos’altro capace di farci vedere o ri-vedere con un’altra luce la nostra vita.